Guido Oldani è il fondatore del movimento letterario e artistico internazionale del Realismo Terminale. Il movimento è aperto alle più varie forme espressive (arti visive e plastiche, musica, teatro, danza) e ambisce essere la rappresentazione critica e ironica della civiltà globalizzata degli anni Duemila, interpretando e descrivendo quegli aspetti del divenire storico-sociale che maggiormente caratterizzano il nostro tempo.
Il Realismo Terminale nasce dall’osservazione, e dall’espressione in chiave poetica, di alcuni fatti macroscopici che si stanno verificando su scala mondiale e delle trasformazioni antropologiche che stanno generando in Occidente e nelle società più avanzate del mondo. Nel libro-manifesto del 2010, intitolato appunto Il Realismo Terminale, Oldani osservava lucidamente che la migrazione incessante di intere popolazioni in fuga da guerre, persecuzioni, miseria e carestie verso i luoghi della libertà e del benessere, lo sviluppo in ogni angolo della Terra di sempre più vaste megalopoli (quelle che Oldani chiamava, già allora, con drammatica preveggenza, «pandemie abitative») e la conseguente immersione degli esseri umani in un ambiente totalmente artificiale, dominato dalla tecnologia e sovraffollato di merci, stanno modificando, come mai era successo in maniera tanto radicale, la percezione stessa della realtà. Siamo testimoni, cioè, non solo di un’impressionante metamorfosi dell’ambiente come conseguenza degli atti della nostra esistenza, ma anche, e più in radice, di una basilare alterazione dell’esperienza del mondo, provocata dall’habitat artificiale e dagli strumenti, materiali e virtuali, con cui interagiamo con l’esterno. La poetica di Oldani, maturata all’interno della linea dantesca, muove dalla coscienza di questa svolta epocale, che segna una frattura millenaria rispetto a tutta la storia precedente del genere umano: la natura, che un tempo coincideva con la terra è oggi soffocata dal progresso, vampirizzata e sfigurata dallo sfruttamento economico, spinta ai margini delle città tentacolari e ridotta, come afferma Oldani, ad «azionista di minoranza». Non costituisce più un punto di riferimento per l’uomo contemporaneo, né il suo termine di paragone se non in una chiave nostalgica e utopica. Per la prima volta da quando abita sulla Terra l’uomo contemporaneo è diventato autoreferenziale: la sua esperienza del mondo non passa più attraverso la natura, ma è essenzialmente fruizione e contatto con l’habitat e le cose che lui stesso si è fabbricato. Cambia, così, col sistema di riferimento, il paradigma della conoscenza, da cui la natura viene totalmente esclusa.
L’espressione poetica dei nuovi paradigmi conoscitivi, la forma retorica che sancisce il primato della realtà artificiale nell’esperienza attuale del mondo, è quella che Oldani, suo inventore, ha definito «similitudine rovesciata», che è caratteristica essenziale del Realismo Terminale. Il conio della «similitudine rovesciata» è fondamentale nel linguaggio poetico in particolare e artistico in generale, destinato a cambiare radicalmente i codici espressivi. All’opposto della «similitudine naturale», che ha sempre assunto la natura quale termine di paragone per descrivere una determinata realtà umana o meccanica, la «similitudine rovesciata», per comprendere ciò che esiste o che accade, e perfino i fenomeni naturali, attinge al mondo artificiale creato dall’uomo. La «similitudine rovesciata» non mira a straniare la realtà, a renderla sorprendente mediante un traslato che la maschera o la opacizza, ma al contrario produce un guadagno di chiarezza, riportando la realtà indagata nell’alveo delle esperienze abituali, degli oggetti o degli atti di pubblico dominio.
Dice Guido Oldani: «Credo che il desiderio di essere poeta sia nato intorno ai quattordici anni, leggendo Giuseppe Ungaretti e Cesare Pavese, e subito dopo Clemente Rebora. Questa collocazione espressiva si è poi ingigantita, nella convinzione che qualunque professione rispettosamente prendessi in esame avesse sempre un’insufficienza da colmare. La mia scelta è un po’ la somma di tante credute insufficienze. Oggi più mi avvicino allo zero, alla puntiformità del vivere e più percepisco la vastità dell’incontro con l’esistenza» (dall’intervista inedita con Giovanni Gazzaneo).