Elio Pecora

“Premio Speciale Montale Fuori di Casa” ad Elio Pecora, autore di raccolte di poesie, racconti, romanzi, Saggi critici, testi per il teatro, poesie per bambini, collaboratore per la critica letteraria  di quotidiani, settimanali, riviste e programmi Rai.

Come ben ha scritto il critico Daniela Marcheschi nell’’introduzione all’ultimo libro di Elio Pecora L’avventura di restare (Crocetti editore 2023), nel quale sono racchiuse le poesie composte dal 1970 al 2020, si riconosce ad elio Pecora, “la lucidità nel guardare all’esistenza così com’è , con le sue contraddizioni, con il suo vuoto, il suo portato di male, dolore, colpa, ma anche di allegria e di gioco, di festa e di lutto. ………….. Nei suoi versi, anche in quelli più disincantati nei confronti dell’orrore dell’esistenza, troviamo sempre una gioia delle cose e dell’esser vivi, di poter dunque ricordare di godere, nonostante le sofferenze, della bellezza di poterle dare un nome”.

E quanto appena affermato trova riscontro nelle pagine di questo prezioso volume in cui Elio Pecora ripercorre in versi il lungo e proficuo tragitto poetico e umano della sua vita, perché – come lui stesso scrive nella poesia “Biografia”: “Che storia puoi raccontare se non la tua storia?……………./ Con quali/ e quante parole tramare la tela di una vicenda/ che tante altre comprende?

Mezzo secolo di versi che consacrano ormai Elio Pecora come un “classico”, un autore dal quale sarà impossibile prescindere per chi vorrà conoscere in un prossimo futuro la grande Poesia del secondo Novecento e dei primi anni del XXI secolo.

Un poeta classico – dicevamo – e non solo per l’attenzione che ha sempre manifestato per la letteratura, la tragedia, la mitologia e la religione greca, che come scrive – nella solo apparentemente ironica poesia “Teogonia” – “pur essendo stata una baldoria, un putiferio/ tutto un inganno..” ha saputo tuttavia rappresentare il meglio e il peggio degli esseri umani, essere, quindi anche “tutto un vasto dono”.

La domanda dunque, non certo peregrina ma cogente, con cui ognuno di noi ogni giorno si trova più o meno coscientemente a fare i conti – in quanto essere umano è: “Con quali e quanti dei sostituire/ questi che così tanto ci somigliano?”

La risposta ci viene dalla poesia “Pasqua”e non è certo consolatoria, ma lucida e precisa laddove spiega che per eccesso di crudeltà e di superbia gli uomini hanno sostituito a quel Pantheon assai poco credibile un Dio che “chiamiamo all’offesa estrema e alla morte”; un dio “che ci ha dato “il dono della nascita e il castigo della morte”, “una libertà che, mentre grida, arrochisce”.

Eppure, al di là di questo dato oggettivamente doloroso e negativo, riflette il Poeta, la presenza di un Dio, “inizio e fine, bellezza e orrore” è evidente ai nostri occhi.

Pure un Dio inverde le foglie della quercia/ per renderle ai venti autunnali: un dio/ muove gli abissi del mare, squassa strade/ e montagne, ingialla la stella più accesa/ e la precipita negli antri del vuoto.Quel dio/ è l’inizio e la fine, la bellezza e l’orrore”.

Il tema classico, dicevamo: se vi è in questo libro di poesie di Elio Pecora, un filo di Arianna ad unire le prime e le ultime composte, è quasi certamente una figura della mitologia greca: Narciso.

Nella sezione iniziale “Narciso in pensiero” del 1970 l’autore pone in esergo un pensiero di Allen Tate poeta, critico, una delle figure più importanti della letteratura americana contemporanea, “……….uso il termine narcisismo per significare l’attenzione rivolta a sè stessi, sia essa originata da amore oppure da odio”.

Un segnale, che Pecora ci fornisce e che il lettore attento dovrebbe cogliere, senza però dimenticare l’interpretazione che la psicologia ha dato di questo mito: Narciso è ognuno di noi, sempre alla continua ricerca del proprio sé, “Cercarsi. Superare la disperazione./ Cercarsi”. Così scrive Elio Pecora. Ma tale ricerca è impossibile senza il confronto con l’altro perché il nostro Io e la nostra identità sono un delicato mix tra ciò che noi realmente siamo e ciò che appariamo all’esterno, riflettendoci nei punti di vista delle altre persone.

E infatti continua il Poeta: “Narciso non è bello né conosce la sua bellezza./ Si finge bello. Perché gli altri plaudendo/ sentenzino: vive”.

Gli altri. Anche la Fisica quantistica ci dice che in realtà non esistiamo se non in un continuo entanglement con quanto ci circonda, natura e esseri animati. Ma che fare con questi ultimi? Compiacerli, accettare di essere quello che essi vogliono che noi siamo o invece ribellarsi affermando il nostro più profondo “Io”. Questo è l’eterno interrogativo che si pone da secoli ormai a ogni essere vivente e pensante.

Certo la seconda scelta – affermare la propria natura e essenza profonda – è la più difficile, ma è anche quella che ci permette di essere liberi, pur sapendo che di questo atto di suprema superbia si pagherà lo scotto.

Narciso sa che la sua libertà è un vuoto, una solitudine,/ eppure ora so, proprio per questo vuoto,/ per questa libertà, io ho il luogo della scelta./ Io sto qui. Io voglio restarci. /E’ questo il posto./ Questa la casa”.

E mezzo secolo dopo, ecco di nuovo Narciso apparire in una delle ultime poesie del libro, “Solfeggi” scritta nel 2020, per dirci che la ricerca di sé è per il Poeta ancora in corso, ma che la sfida lanciatagli dalla vita lui l’ha accettata: “Narciso non si compiace, annega nel fonte

E che “l’approdo è solo un rifugio. La sosta un gioco/ anche difficile, aspro. Pure fu legge restare,/ serrato il timore/ terrore di uscirne”.

Il Poeta, l’Uomo, ha fatto la sua scelta, quella di viverla la vita, qualunque sia e sia stata la pena che l’ha accompagnata perché “Pure nel cavo della mente /Resta indenne il seme/ Indistruttibile. E Lei/ l’estrema voglia di stare,/(l’erba che dopo i geli/ rispunta tenera e verde)/ ed è un bene e un’intesa/ se rende il gesto alle mani/ il passo ai piedi e/ accalora l’istante,/ lo ferma e accarezza”.

In questo volume che, come scrive l’Autore nella premessa, “non è certo un addio né un viatico”, Pecora oltre ad aver ripercorso con il lettore una parte del tragitto della sua vita, ha però anche parimenti “insistito nel credo che quel che chiamiamo poesia sia significato e forma a un’esistenza”.

E ci ha detto con potenza ciò che per lui è stata ed è la poesia, sulla quale purtroppo – data la scarsa attitudine all’acquisto e alla lettura di libri da parte dei lettori – incombe il rischio concreto della cancellazione:

Arcana per troppi, in troppi l’assalgono/ per chiuderla nelle loro stanzette/ asfittiche, fra divanetti rosati/ e quadrucci d’albe sospese:/gli ammodernamenti delle avanguardie/ la congelano:da consumare/ per tempi  che non verranno/ data l’incombente cancellazione./ Impavida, sfrontata, negata o arresa/ Ai canoni, attende al varco gli ostensori/ E illude chi si ammanta”.

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