Scriveva il grande critico letterario e poeta Cesare Garboli mentre Montale era ancora vivo: “Questo vecchio poeta, sempre più scettico, senza molte speranze è stato però il primo ad esprimere la vera grande scoperta del secolo: che la nostra vita è quantistica, intermittente, discontinua, tra l’essere e il non essere. E’ stato Montale a dirci che la realtà non sta nella linea ma nei zig zag, non sta nella nostra esistenza ma nel suo intervallo”.
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una
quinta, da un fondale
da un fuori che
non c’è se mai
nessuno l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo con radici
strappate da ogni vento
se anche non muove foglia
e non un soffio increspa.
(da Il Primo gennaio)
Credo avesse ragione Garboli; probabilmente Montale ha conosciuto e riflettuto sulle nuove scoperte dell’astronomia e della meccanica quantistica. Almeno così ci farebbero credere alcuni versi tratti da una delle sue poesie più famose “Ho sceso dandoti il braccio…” dedicata alla moglie Drusilla Tanzi.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Quello sul quale vi invito a riflettere è l’ultimo: “chi crede che la realtà sia quella che si vede”.
In tale verso emerge non solo la grandezza, ma anche l’attualità, la contemporaneità di Montale che, pur nato alla fine del secolo XIX, non era rimasto immune ai mutamenti che all’inizio del XX stavano avvenendo nel campo della fisica. La relatività di Einstein, il quantum di Planck, il principio di indeterminazione di Heisenberg, cominciarono infatti già dai primi anni del Novecento ad insidiare la fisica classica di Newton aprendo le porte ad una nuova fisica che, da un lato, condurrà l’Umanità alla bomba atomica ma, dall’altro, la farà riflettere su universi paralleli e addirittura sull’ipotesi che i fotoni siano dotati di possibilità di scelta.
A Montale uomo di Lettere, certamente, ma in primis uomo di Cultura, queste scoperte della scienza non passarono inosservate. Nella sua poesia ci sono infatti momenti in cui la grande domanda ritorna: la realtà è quella che si vede? Ve lo proponiamo, tale interrogativo, in questo 2023, come tema del “Premio Montale Fuori di Casa” – edizione 27° – così come proveremo a porlo anche ai vincitori delle varie sezioni del nostro Premio.
Del resto è una domanda che alcuni fisici e scienziati prendono sempre più sul serio. Per esempio, secondo Elon Musk (il creatore di PayPal, Tesla Motors e di SpaceX con cui vorrebbe portare l’uomo su Marte) le probabilità che il nostro sia un mondo vero sarebbero solo una su vari miliardi. Non vogliamo certo dire che Eugenio Montale si sia mai posto tali dubbi, ma certo molto ci fanno pensare i versi della poesia “Forse un mattino andando in un’aria di vetro”. In essa il poeta immagina infatti di voltarsi e vedere per un attimo il nulla dietro di sé, e poi il ricomporsi improvviso della realtà “come s’uno schermo, alberi, case e colli per l’inganno consueto”. Sì, Montale fu certamente attratto dalle nuove scoperte della Fisica. Se così non fosse non avrebbe potuto scrivere questi versi della poesia “Il Vuoto”:
É sparito anche il vuoto
Dove un tempo si poteva rifugiarsi.
Ora sappiamo che anche l’aria
È una materia immateriale, il peggio
Che poteva toccarci.
Non è pieno abbastanza perché dobbiamo
popolarlo di fatti, di movimenti
per poter dire che gli apparteniamo
E mai gli sfuggiremo anche se morti.
Senza dubbio Montale che per tutta la vita “ha bussato disperatamente alle porte dell’invisibile come qualcuno che attende una risposta”, si è interrogato a lungo sui misteri della realtà e della nascita dell’Universo, continuando a chiedersi cosa ci sia dietro a ciò che ci appare come realtà, dietro a quella “muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. E lo ha fatto anche, come era suo solito, scrivendone persino in tono ironico:
…… Se l’universo nacque
da una zuffa di gas
zuffa non zuppa allora
com’è possibile, come…
ma qui gli cadde di mano
quella penna di cigno
che seppure in ritardo
si addice ancora a un bardo.
(Tutte le poesie – Oscar Mondadori – Altri versi, 683)
Il “bardo” Montale, giunto verso la fine della sua vita, di fronte all’immensità di fenomeni come la nascita dell’universo, lo spazio, il tempo, sembra preda di un leggero sbandamento della coscienza e si addormenta lasciando cadere la penna di cigno. È questa forse una sconfitta della poesia?
Diremmo di no, perché l’unica risposta alle sue disperate domande, al mistero della vita, Montale l’ha potuta trovare solo nel miracolo della Poesia. Solo grazie ad essa è riuscito ad indagare nella realtà “lo sbaglio di Natura,/ il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,/ il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità”.
Adriana Beverini – Presidente del Premio