Amo i volti perduti
quelli degli ultimi, incontaminati:
visi morsi di sporco
dagli occhi puliti, due disarmati.
E solo in chi ha sofferto
mi specchio, lì nell’occhio che grida aiuto
riconosce il suo doppio.
Basterebbe questa poesia per spiegare il perché oggi viene assegnato a Maria Sole Sanasi d’Arpe il “Premio Fra gli ultimi del mondo”, spin off della Sezione Mediterraneo del “Premio Montale Fuori di Casa”, per la sua raccolta poetica L’incoscienza sensibile edito da Passigli nella prestigiosa collana “Poesia” fondata da Mario Luzi. In questi versi c’è quasi già tutto quello che la poetessa vuole dirci e cioè che la sua preferenza va agli ultimi, che di loro vuole parlare, perché sono incontaminati e solo in loro si specchia.
Ultimi non sono però, in quest’opera, come banalmente potremmo pensare, solo i migranti, costretti dalla fame o da guerre feroci ad abbandonare la terra d’origine in cerca di una possibilità di esistenza, ma anche i lavoratori del nostro mondo occidentale che si proclama civile, ma è pronto ad eliminare dal circuito lavorativo i più deboli:“chi si ferma è da buttare”.
Sono anche le donne, vittime non soltanto di femminicidio ma di forme più subdole di discriminazione, specie sul lavoro, così come i giovani che non riescono a far sentire la propria voce, né a far valere le loro professionalità. E, ultimi degli ultimi, gli animali. E’ al “cane bastonato e sporco” che va l’empatia della poetessa.
Attenzione, ci dice però l’autrice, in versi che potrebbero riecheggiare il dettato evangelico – non fosse per lo sdegno che da essi spira – che quelli che voi chiamiate “ultimi”, messi al margine, reietti, in realtà “sono i principi: chinati nel corpo/ dritto è lo spirito, salva è la mente”.
Scrive sprezzantemente in una poesia che potrebbe essere letta come una Beatitudine al contrario, rivolta a coloro che per la propria condizione sociale di privilegio erroneamente pensano di essere i Primi: “Beati voi che vi scambiate con tutti/ che uno vale l’altro purchè vi accetti/ con i vostri difetti e valori alti/. Avete i volti gretti e i piedi storti/ e sembrate morti dagli occhi spenti”. I veri ultimi sono proprio coloro a cui ci inchiniamo, i potenti, perché hanno sì la testa alta ma lo spirito prono.
Un ’opera poetica di “buoni sentimenti”, dunque ? la risposta è per fortuna negativa.
L’Autrice sfugge infatti alla trappola del buonismo grazie ad una profondità di pensiero che le deriva da una solida cultura classica letteraria e filosofica avvalendosi della quale il suo sguardo analizza i temi posti di fronte al lettore in modo critico, attento, mai “sentimentale”. Ed a soccorrerla dal pericoloso risucchio nella palude dei buoni sentimenti è anche l’uso di un linguaggio poetico fortemente personale, talora spiazzante.
Sei pura che vorrei berti e morire/ assetata e d’arsione. / E sei bella che ti vorrei mangiare/ e scoppiare di dolore./…….
Come è facile riscontrare e perfettamente nota il filosofo Massimo Cacciari nell’introduzione al libro, la Sanasi d’Arpe pur essendo quasi sempre rispettosa della rima (del classico endecasillabo e del settenario), la rivoluziona dal suo interno, creando dissonanze e non assonanze; i suoi versi non accarezzano il lettore, ma lo feriscono mettendolo brutalmente di fronte alle proprie responsabilità, alla propria mediocrità e banalità (ah!la banalità del male !).
Che dire di più per un’Opera prima?
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