“Abitato e assediato dalla musica, anzi più precisamente da arie, storie, fantasmi del melodramma”, così scriveva il critico letterario Gilberto Lonardi di Eugenio Montale che, negli anni, convertì questa sua personale passione in quella di cronista musicale, attività svolta per il Corriere della Sera, dal 1954 al 1967 (290 articoli).
Le stesse parole potremmo ripetere per Alberto Mattioli (per sua stessa ammissione “pazzo per l’Opera”), giornalista e critico musicale, attualmente uno dei più influenti del nostro Paese dal momento che lo spazio critico da lui ricoperto sul quotidiano La Stampa è importante e seguitissimo. Nei suoi articoli, così come nei libri di grande successo editoriale, avvalendosi di un riconoscibile stile asciutto, raffinato e insieme ironico, Mattioli prende apertamente posizione contro l’inesorabile marginalizzazione e decadenza dell’opera lirica in Italia. E se da una parte afferma con coraggio, senza far sconti a nessuno, che “È inutile lamentarsi dello spazio che sparisce dai giornali, se ciò che i teatri propongono è sempre la stessa cosa”, dall’altra lancia al suo lettore messaggi di speranza. “L’opera lirica è in crisi da quando esiste” -esordisce nel Quinto Atto del suo ultimo libro “Pazzo per l’Opera – Istruzioni per l’abuso del melodramma” – in crisi sia perché costa (ed è sempre costata), sia perché “a teatro”, da sempre, ogni epoca guarda a quelle che l’hanno preceduta come a un’età dell’oro, bella ma perduta”. Ciò detto Mattioli non nega la crisi attuale dell’opera lirica, ma è certo che essa potrà salvarsi se saremo capaci di mettere questi capolavori a contatto con la contemporaneità. “E allora, proprio perché di capolavori si tratta, ci esploderanno in mano con tutta la loro forza, da quella dinamite emozionale che sono”.