Scriveva Eugenio Montale nel 1961, in relazione al cambiamento inesorabile della società e alla sua “resistenza” personale ad ogni tipo di massificazione e asservimento al Potere: “Sono riuscito a vivere a lungo senza lustrare le scarpe a nessun tiranno, ho visto scomparire molte miserie e molte piaghe ma anche consolidarsi molte forme di servilismo collettivo, ho incontrato persino eroi inconsapevoli di esserlo”.
A questi dimenticati “eroi inconsapevoli” in lotta contro ogni forma di servilismo collettivo si avvicinano i profili di tanti protagonisti dei romanzi di Anna Luisa Pignatelli, magari proprio quell’Agostino di Il campo di Gosto (Fazi Editore 2023), il vecchio contadino assediato dalla malvagità e la grettezza dei compaesani, ma che non ha mai perso la fiducia nel prossimo, mantenendo intatto fino all’ultimo un amore alla vita del tutto estraneo a chi ha avuto d’attorno.
Autrice dal timbro forte e ben riconoscibile che Antonio Tabucchi definì: « una voce insolita italiana di oggi, lirica, tagliente, desolata», viaggiatrice in quattro continenti accanto al marito Ambasciatore, Anna Luisa Pignatelli, nata e cresciuta nel contado di Asciano non lontano dall’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, si sente nell’intimo fieramente toscana e i luoghi archetipici dei suoi romanzi: Lupaia, Torre al Salto, Focaia, il deserto di Accona conducono nel grembo di una terra che non si concede se non con sacrificio dolente e tenace ai suoi rustici figli: donne cupe e rancorose, uomini gelosamente avvinghiati al podere, al bosco, al rudere messo in sesto a mala pena per abitarvi per lo più in solitudine. I suoi romanzi dai titoli scarni: Gli impreparati, L’ultimo Feudo, Buio, Nero Toscano, Ruggine, Foschia mettono in luce il forte radicamento poetico di Pignatelli in quelle crete senesi tanto amate da Federico Tozzi, un altro autore toscano che Mario Luzi ritenne grande: «Tozzi – scriveva Luzi – viene dal fondo della senesità: viene dall’ambiente, dalla realtà, dalla zolla senese. Ed è questa forse la ragione del limite che la sua risonanza ha avuto. Ma quando uno lo legge e c’entra dentro, se ne innamora». Questa riflessione si adatta al timbro dell’opera di Pignatelli ma non alla fortuna della sua ricezione, ampiamente attenzionata dalla critica in Italia dove ha ricevuto il Premio Città di Lugnano e in Francia dove vari romanzi sono stati tradotti e le è stato conferito nel 2010 il Prix des lecteurs du Var. Il lago indigeno in versione anche spagnola, è ambientato in Guatemala, un contesto dunque remoto dalla Toscana, ma che è stato familiare a Pignatelli per avervi vissuto e scrutato con empatia le comunità indigene. Lo testimonia Maya. Vita d’oggi degli uomini di mais, una ricerca di pregio etnologico, illustrata da splendide fotografie dell’ autrice.
Nell’assegnarle il “Premio Montale Fuori di Casa” sezione “Il Genio delle donne”, si intende non solo ribadire, come scrive il critico Alessandro Zaccuri che «la prosa di Anna Luisa Pignatelli appartiene alla migliore tradizione narrativa italiana», ma sottolineare l’istanza dal forte timbro etico che cementa le sue storie d’invenzione: la pietas verso i “periferici”, osservati al filtro di uno sguardo nitido e affilato. Al loro “male di vivere” dall’incancellabile impronta montaliana, Pignatelli non risponde come il poeta ligure cercando riparo in una “divina indifferenza”, ma prendendo posizione, invocando giustizia. I suoi personaggi non scendono a patti, non piegano la schiena al Potere che tacita e opprime. Con i loro valori, tradizioni e affetti, benché travolti nella deriva della Storia di verghiana memoria, essi restano liberi, come il “giusto” Agostino che trasmette ai discendenti i suoi unici beni: il podere Focaia, l’Ape, il suo vecchio trabiccolo, il poco denaro in banca e la quota alla moglie di una sudata pensione.
Se esistono ancora oggi degli eroi nascosti sono coloro – come afferma in un’intervista la nostra premiata – che «sanno custodire dentro di sé la Bellezza nella quale si sono imbattuti come in una moneta d’oro»