Dal 2018 al 2020 Bartolomeo Smaldone ha pubblicato tre opere poetiche di grande spessore: Sottrazioni, Disobbedienza e Viene una seconda volta il cane fulvo (Alcesti editore). E’ così giunto alla sua decima raccolta ed è ormai un poeta maturo, con un suo stile particolare immediatamente riconoscibile. E’ un poeta del Mediterraneo, nato e vissuto in Puglia, tra l’azzurro del mare, l’argento degli ulivi, dove, come accade nella Liguria del nostro Eugenio Montale, l’asprezza della terra è un tutt’uno con la sua prorompente bellezza. E assegnandogli qui, oggi, in mezzo a questo mare di ulivi, “tra le lamelle d’argento dell’esili foglie” (come scrive Montale nella poesia Egloga) la sezione Mediterraneo del Premio Montale Fuori di Casa, intendiamo sottolineare ed enfatizzare, come un valore aggiunto, queste sue radici mediterranee. Ma nello stesso tempo ci sta a cuore rimarcare la sua fedeltà assoluta nella Poesia, nel suo valore, che è per lui, insieme, etico, civile, politico e spirituale. Smaldone Vive in una delle Regioni d’Italia più dense di storia e di arte, ha respirato dalla nascita il senso più profondo del mito classico, del dramma dell’esistere che dalla tragedia greca è stato rappresentato; da ciò prende ispirazione la sua poesia. Al suo centro, propiziatrice di fertilità e di ogni bene per l’essere umano, sta la Donna nella sua duplice natura di Demetra e di Artemide. Alla prima dobbiamo il grano, alla seconda la nascita dell’olivo. Ad entrambe la civiltà
La donna, dicevamo, Signora della casa, οἶκος, oikos come la chiamavano i greci, e questa stessa parola utilizziamo noi oggi per esprimere il doppio senso di focolare domestico e di “ambiente”, la casa comune, il mondo che ci ospita. Ecco il senso del termine ecologia.
Di questa casa comune, era anticamente garante nel nostro Mediterraneo la Grande Madre, principio femminile che nutre, infonde piacere e vita. Ed è in lei che il Poeta trova riparo di fronte alla brutale arroganza del principio maschile, con il suo desiderio di possedere, di violare, di imporre la sua legge su donne e natura. E’ dunque quella di Smaldone, forse inconsapevolmente per lo stesso suo autore, anche una poesia “ecologica” nel senso più vero del termine. Ed è per ciò stesso anche poesia della Disobbedienza, che si ribella all’ingiustizia così come agli scompensi causati dall’Uomo alla sua stessa specie e al pianeta intero. Che tremore dà, oggi, alla luce del dramma che il Covid 19 sta producendo nel nostro Mondo, rileggere questi versi da lui scritti nel 2018:
“ Che la disgrazia incombesse sulle nostre teste
ah, era già scritto in un dove,
in un punto imprecisato della terra.
Nei cicli innumerevoli del tempo
vagolavano
verso un approdo virente,
erigendo fragili mura,
le nostre rassicuranti abitazioni,
scegliendo elettrodomestici
e posti auto………
Mi assolvo da ogni colpa io mi assolvo,
benché l’ora sia cupa,
o divino Calcante,
se non ho prestato il mio orecchio
e l’occhio non ho volto
a ciò che pure era manifesto.
Di questo pianeta sul quale tutti, uomini e animali dobbiamo con – vivere, dobbiamo prenderci cura, così come della Poesia, “emozione che fiorisce/giungendo al nostro interno/e facendoci sobbalzare..”, scrive Smaldone.
La stessa cura che dovremmo usare per tutti gli aspetti più importanti della nostra esistenza, e così come nel respirare, nel masticare, ci dice ancora l’Autore: In modo lento, ritmato, meditato.
E lenta, ritmata e meditata è questa Poesia che stupisce per il paziente lavoro di ricerca che il Poeta che premiamo opera nella scelta di ogni singola parola, sulla scia della tradizione della grande poesia sia di Montale, che del primo Ungaretti. Scriveva questo poeta “quando trovo in questo mio silenzio una parola: scavata è nella mia vita come un abisso.
Ascoltiamo questi versi di Smaldone (così come tanti altri potremmo sceglierne ) e capiremo quello che Ungaretti voleva dire. Ogni parola qui è insieme significante e significato Ed è capace di esorcizzare, per brevi istanti, il terrore della fine:
“ un manto, un chiarore, un subitaneo
moto verso le gote, tra i cespi d’acanto,
le succulenti more e gli spinosi pruni:
e grappoli acinosi vagheggiavi, bruna testa
festosa, bramosa cesta avida d’ogni
primizia, avida della dovizia che dalla
giovinezza incautamente aspettavi.
In te non c’era scurità o durezza, non
picchiettava la sventura la tua bazza
volitiva, non ammutava la mordacchia
dell’angustia la tua garrula franchezza
di esigere nel doglio una nuova abboccatura.
Tua madre, diafana creatura, sprimacciava
il tuo guanciale con il giunco, e una luce
di vernale rifrangeva sul tuo corpo chino…
La promessa è stata compiuta . Smaldone nella poesia con cui inizia il suo ultimo libro “Viene una seconda volta il cane fulvo” l‘aveva scritto ai suoi “cinquanta lettori : devo loro un capolavoro”. E l’ha mantenuta.