A Paolo Rumiz, Viaggiatore, giornalista e scrittore, esperto delle identità italiane ed europee, che dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana il “Premio Montale Fuori di Casa” 2023 per la sezione Homo Viator.
Scrittore, giornalista, reporter di guerra e soprattutto instancabile viaggiatore, Paolo Rumiz ha attraversato – nei lunghi anni della sua professione – quelle terre di confine che racchiudono in loro il peso della Storia, la violenza dei totalitarismi e dei nazionalismi, la ferocia dei conflitti, ma anche la ricchezza di territori complessi, etnicamente misti, risultato di secoli di migrazioni. Il suo bisogno di conoscere e vedere, da viaggiatore e intellettuale, lo ha portato spesso a Oriente, in quello spazio quasi infinito che include l’area slava estesamente intesa (area balcanica, danubiana, baltica) così come il Mediterraneo orientale. Ha raccontato, da testimone diretto, la tragedia del conflitto balcanico in Maschere per un massacro, mentre in Trans Europa Express ha descritto il suo viaggio di seimila chilometri, nel 2008, lungo la frontiera tra l’Unione Europea e la Russia, dal Mar Glaciale artico alla Turchia. In Come cavalli che dormono in piedi, ripercorre – sulle tracce del nonno – le linee del fronte orientale (nell’allora Galizia, territorio ora compreso tra Ucraina e Polonia) durante la Prima guerra mondiale. Nei suoi articoli scritti soprattutto per “la Repubblica” e per “Il Piccolo” di Trieste con passo e sguardo di camminatore, di osservatore attento e dall’inesauribile curiosità, vicino agli ultimi, viaggiando su mezzi di trasporto pubblici di ogni tipo, in bicicletta o su piccole automobili,ha raccontato in maniera estesa anche l’Italia, concentrandosi prevalentemente su territori fuori dalle rotte metropolitane. In La leggenda dei monti naviganti ripercorre ottomila chilometri lungo le due più importanti catene montuose italiane, le Alpi e gli Appennini, dal golfo del Quarnaro a Fiume fino a Capo Sud, l’estremo punto meridionale della penisola. Ancora rotte inaspettate sono raccontate più recentemente in Il filo infinito. Viaggio alle radici d’Europa, qui l’autore va alla ricerca dei luoghi e dell’esempio di San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, e dei suoi epigoni, partendo proprio dalla Norcia ferita dal terremoto dell’ottobre 2016. E ancora in Appia, percorrendo a piedi con un gruppo di amici l’antica via che parte da Roma, ci svela un’Italia segreta tra echi arabi e normanni, fino ad arrivare a Brindisi, città-porta che prefigura l’Oriente.
Con il suo ultimo libro Canto per l’Europa Rumiz fa un passo ulteriore per ricordarci il rischio che stiamo correndo rinnegando le nostre radici, in gran parte mediterranee, insieme alla nostra cultura del diritto, del welfare, della filosofia, della democrazia. E perdendo il sogno dell’ Europa, ci stiamo ritrovando con una realtà europea imbarbarita e senz’anima, che ha dimenticato le sue origini e persino il suo nome, che è quello della principessa fenicia rapita da Giove-toro. “Per questo – ci dice Rumiz – va recuperato il mito: quando perdi tutto, non resta che quello, si riparte da quello..”.
E proprio dal mito di Europa prende le mosse il suo ultimo libro Canto per l’Europa che ha per protagonista una fanciulla asiatica dal nome di Europa, che è simbolo dell’emigrazione fra oriente ed occidente, dello scambio tra territori un tempo ancora poco definiti, ma che ora più che mai si mescolano tra di loro rendendo il nostro continente un insieme di pensieri, idee e culture diverse. Europa, ci dice Rumiz, è “il sogno di chi una patria non ce l’ha”, di chi viene da lontano, non di chi la abita. Ma per comprendere quanto sia enorme e irreversibile sia il fenomeno di queste vere e proprie migrazioni di popoli in cerca di vita e dignità è però necessario uno sguardo lungimirante, ampio, onnicomprensivo. E anche in questo senso il termine Europa ci viene in aiuto dal momento che l’origine greca di questo nome deriva dall’unione di due termini: eurus, che vuol dire appunto “ampio” e “occhio”, con il significato quindi di ampio sguardo.