Da Terre del Mito

di Giuseppe Conte (Edizioni Longanesi )

Per gentilezza dell’autore ecco alcune pagine sull’India tratte dal libro:

Si esce da Madras senza accorgersene.L’automobile, una massiccia, bombuta berlina indiana,corre tra il verde sovrano di palme,baniani, eucalipti,alberi dai fiori gialli simili alle robinie, altri dalle foglie chiarssime, abbaglianti, gli equiseti: dappertutto a onde vaporose, si affacciano le buganvillee, più rosso cupo che viola, e poi arancioni, rosa, bianche. Madras si scioglie nei villaggi limitrofi.La strada per Kanchipuram coincide  per un tratto con quella per bangalore, ed è larga e trafficata.Un camion rovesciato è circondato sull’asfalto, da tante grosse pietre che sembrano meno voler segnalare un incidente che delimitare lo spazio di qualche ben strano rito.

I villaggi che si incontrano sono di case basse con il tetto di paglia abitate preferibilmente da capre magre e da bambini.Non si può percorrere sulle strade dell’India un chilometro intero senza incontrare nessuno.Se gli spazi sono vasti,distesi,non appaiono però mai deserti……

Di certi villaggi si vedono soltanto i gopuran dei templi, alcuni policromi, altri candidi che vincono in altezza la barriera della vegetazione. Il gopuran del tempio di Ekambereswara si distingue già venticinque chilometri prima di arrivare a Kanchipuram. Una delle sette città sante dell’Induismo, ora la attraverso finalmente:

la via principale è una distesa di terra battuta, polvere giallognola ai cui margini stanno case basse, negozi che espongono pezze di seta dai colori dorati,poveri utensili di metallo e, dappertutto,vasche d’alluminio enormi, luminosissime.

Non ci sono più automobili. Circolano soltanto pedoni e  valanghe di biciclette. Quanto tempo fa sembra di essere! Come è antica, o come è fuori dallo scorrere degli anni e dei secoli  la santità!

Dovunque mi volti sagome di gopuram e di vimana, le torri a piramide scolpite, tipiche dell’ arte dravidica. I Chola, i Pallava: dinastie i cui nomi dicono poco al nostro orecchio occidentale. Furono loro che costruirono le meraviglie di Mahabalipuram-fu il loro porto, oggi è il villaggio della Discesa del Gange, il più grande bassorilievo a cielo aperto del mondo, dei mandapam, le grotte istoriate, dei rathas, i monoliti lavorati come carri votivi, omaggi al dio del Sole, un vero prodigio di pietra,enigmatico, quasi non terrestre, con il tempio della Riva, il suo vimana che ha resistito sulla sabbia a due passi dalla risacca per secoli  e che tintinnerebbe, se la pietra lo potesse, oggi sconsacrato-e Kanchipuram. La loro capitale sacra ancora oggi a Siva, a Visnù e a Parvati.Qui regnarono Svanisimha, il Leone del sud, il guerriero e Narasimhavarman II che offrì ai suoi sudditi decenni di pace.

Il tempio più bello di Kanchipuram è quello di Kailasanathar :purissimo stile Pallava del VII secolo.Il suo muro di cinta è decorato all’esterno da una fila di mobili figure di draghi, animali magici,compositi. La facciata fronteggiata da una scultura in dimensioni naturali di Nandi, il toro sacro a Siva, presenta una serie di padiglioni simili a piccoli rathas che contengono al loro interno un lingam nero,corto, arrotondato in cima e dal corpo poligonale. Il tempio non ha gopuram e consta di un vimana splendidamente proporzionato, non grandioso ma perfetto nel suo comporsi e sciogliersi in misura di decorazione. Non c’è un centimetro in questo tempio che non sia scolpito:da alcune tracce di colori vividi rimaste negli angoli in alto si intuisce che non doveva in origine esserci un centimetro non dipinto. Tutto sembra volare e suonare,esser fatto non di pietra ma di foglie, campanelli, ventagli, sistri. Siva è raffigurato all’interno di tutti i pannelli : Siva che danza, che lotta, che parla con Arjuna, che medita, che combatte contro i demoni, che consola Parvati: lei è contratta, piegata su un fianco,ha un’aria imbronciata, scimmiesca quasi, e lui regale, ridente,le accarezza il mento con una delle sue quattro mani, che scorre come a levigare, a stabilire una linea di demarcazione tra la gioia e la tristezza, e ad accompagnare una corrente di energia impersonale e d’amore.

Davanti al tempio delle ragazze trasportano terra da una parte all’altra del vasto spiazzo, dentro ceste che reggono in equilibrio sul capo, in due file opposte che si incontrano- lì una ragazza scambia la sua cesta piena con quella vuota dell’altra- simili alle file delle formiche. Incontro gli occhi di una di loro,una esile e alta, con un sari verde splendente, la pelle nerissima-non esiste, è vero, colore più bello e lucente per una pelle- il passo sicuro. Cammina sicura e lenta:tra le labbra si intravedono denti come diamanti. Tra tutte le ragazze lì, lei è l’unica che ha veramente occhi, che osa gettare il suo sguardo nello sguardo di uno straniero,di un profano, di un uomo dal corpaccione bianco e dal berretto a visiera che prende appunti su un taccuino davanti alla facciata, ai padiglioni dove sono contenuti i lingam.Ride con le sue amiche,è lei la prima, la più fiera, quando si accorge davanti a cosa sosto e scrivo. Penserà che non so niente del segreto del lingam e dello yoni e ha ragione:sul mistero che lega sesso e cosmo,fallo e dio, vulva e terra sappiamo sempre poco noi dell’Occidente ……

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